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Stoner di John Williams: miracolo letterario

“Non era una passione della mente e nemmeno dello spirito: era piuttosto una forza che comprendeva entrambi, come se non fossero che la materia, la sostanza specifica dell’amore stesso. A una donna o a una poesia, il suo amore diceva semplicemente: Guarda! Sono vivo!”

Come sapete sono solita iniziare le mie recensioni con una breve trama del romanzo, ma su questo libro c’è davvero poco da dire: William Stoner ha una vita che sembra essere piatta e desolata. Non si allontana mai più di centocinquanta chilometri da Booneville, il paese in cui è nato, mantiene il lavoro di professore per tutta la vita ed è infelicemente sposato con la stessa donna per più di quarant’anni. Con una storia del genere, non mi sarei aspettata di arrivare nemmeno al secondo capitolo. Eppure “Stoner” mi ha conquistato, così come ha fatto con più di un altro milione di lettori, ed è oggi considerato un caposaldo della narrativa americana del Novecento. Come riesce Williams in questo miracolo letterario? Non l’ho capito nemmeno io, ma vorrei analizzarne con voi alcuni aspetti che lo rendono così stupefacente.


Ad affascinarmi è stata innanzitutto la scrittura dell’autore: Williams descrive le sensazioni in modo magistrale. L’angoscia di Stoner e di Edith per il loro matrimonio fallito, l’improvvisa passione tra lui e Katherine e, soprattutto, la costante rassegnazione del protagonista di fronte ad ogni ingiustizia sono rese magnificamente.


Anche i personaggi sono molto riusciti. Edith, la moglie di Stoner, è forse il più complesso. La relazione tra lei e suo marito varia nel corso del libro, ma non è mai, sicuramente, d’amore. All’inizio sembra subire passivamente il corteggiamento di Stoner e accetta la sua proposta di matrimonio quasi come fosse un dovere a cui adempiere. Assistere alla loro luna di miele è quasi lacerante: Edith si comporta come se stesse leggendo il copione della sua vita e non potesse cambiarne neanche una scena. Nel corso della loro vita coniugale, Edith rivela un atteggiamento distruttivo nei confronti del marito e sembra far di tutto per allontanarlo da lei, fino ad esiliarlo nella veranda. L’unico momento in cui tra i due osserviamo qualche traccia di complicità, è sul letto di morte di Stoner, ma è solo il risultato di tanti anni di convivenza. A cosa sia dovuto questo suo temperamento, non ci è dato a sapere, ma possiamo intuire che c’entri col difficile rapporto con i suoi genitori.


Non posso non citare anche Hollis Lomax, superiore di Stoner e anche suo acerrimo nemico. Se Edith fa di tutto per rendere la vita domestica del protagonista impossibile, Lomax si occupa di quella lavorativa. Nonostante ci sia stato un episodio che ha portato i due colleghi a discutere, il motivo esatto di questa terribile avversione nei suoi confronti, così come per Edith, non è espresso chiaramente, ma è parte dell’impenetrabile mistero celato sotto la superficie del romanzo. I due, però, non sono sempre stati in cattivi rapporti. La loro prima vera conversazione avviene ad una festa a casa di Stoner e in questa occasione Lomax, un po' su di giri per l’alcol, si racconta; Stoner afferma di aver sentito “un’affinità con lui che non aveva previsto”. Che questo episodio possa essere una delle ragioni dell’atteggiamento iroso di Lomax verso il collega?

“E quando arrivò alle lunghe giornate e alle sere passate da solo nella sua stanza, leggendo libri su libri per sfuggire ai limiti che il suo corpo infelice gli aveva imposto, e alla scoperta graduale di un senso di libertà, che si faceva più intenso via via che ne comprendeva la sua vera natura -, quando raccontò tutto questo, William Stoner sentì un’affinità con lui che non aveva previsto. Capì che Lomax aveva attraversato una sorta di conversione, un’epifania di ciò che le parole possono far conoscere e che però non si può esprimere a parole: proprio come era accaduto a lui, durante la lezione di Archer Sloane”.

Un altro personaggio interessante, seppur abbastanza fugace, è quello di Katherine Driscoll, una studentessa di Stoner che diventa la sua amante. Katherine entra nel romanzo in punta di piedi, ma finisce col cambiarlo totalmente. L’attrazione di Stoner nei suoi confronti arriva lentamente, in quanto lui era arrivato, a causa del distaccato rapporto con sua moglie, a rinunciare del tutto all’amore e al sesso. Katherine e Stoner scoprono insieme cosa significa amare e dopo anni che si sono lasciati si rendono conto di non avere mai smesso (“oltre il torpore, l’indifferenza, la rimozione, quell’amore era ancora lì, solido e intenso”).

“A quarantatré anni compiuti, William Stoner apprese ciò che ben altri, ben più giovani di lui, avevano imparato prima: che la persona che amiamo fin da subito non è quella che amiamo per davvero e che l’amore non è una fine ma un processo attraverso il quale una persona tenta di conoscerne un’altra”.

Ma il rapporto più tragico di tutto il romanzo è quello tra Stoner e sua figlia Grace. Posso avergli perdonato tutte le volte in cui ha rinunciato e si è fatto mettere i piedi in testa, ma non riesco a non condannarlo per aver trascurato Grace. Se durante la sua infanzia si occupa scrupolosamente di lei, in quanto la madre giace a letto depressa, quando entra nell’adolescenza la abbandona nelle grinfie di Edith. La giovane diventa lentamente un’ombra che si consuma per il morboso matrimonio dei suoi genitori. Da adulta trova rifugio nell’alcol e Stoner afferma di essere “lieto che avesse almeno quello”.


Sono felice che, alla seconda ristampa, “Stoner” abbia ottenuto il successo che meritava, ma sono convinta che in Italia non sia ancora conosciuto abbastanza. È uno dei libri con i personaggi più completi e realistici che abbia mai letto, ed è incredibile come Williams sia riuscito a trasformare una vita così ordinaria in una storia commovente ed emozionante.



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1 Comment


domenico-cristiano
Nov 18, 2020

I libri con i personaggi ben caratterizzati sono tra quelli che preferisco, lèggerò Stoner sicuramente,grazie!

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