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Se questo è un uomo di Primo Levi - perché tutti dovrebbero leggerlo

Se questo è un uomo è la tragica testimonianza dell’esperienza di Primo Levi nel campo di concentramento di Auschwitz. In questo libro l’autore evita i particolari più atroci, ma si sofferma su tutte le offese alla dignità e alla personalità individuale.


Come suggerisce Cesare Segre nella postfazione, la struttura del libro potrebbe essere vista come uno schema concentrico. Il filo spinato circonda i capitoli dal II al XVI; fuori c’è umanità, dentro inumanità. Nel primo capitolo le madri preparano con cura il cibo e i vestiti per il viaggio, poi si riuniscono attorno alle candele in una sorta di cerimonia funebre per sé stesse e per gli altri. Nell’ultimo capitolo la ripresa di umanità è segnata dal pane che gli ospiti di una baracca offrono ai compagni. Dentro al filo spinato, la dignità degli uomini viene calpestata.


Nel secondo capitolo, Sul fondo, Levi approfondisce la condizione umana nei campi. Ci spiega come i prigionieri venissero privati di tutto; gli abiti, le scarpe, i capelli, le abitudini e persino il nome non gli appartenevano più. Gli veniva tatuato il simbolo di Auschwitz, che imponeva agli uomini il marchio dei buoi. Venivano deportati in vagoni bestiame; i prigionieri erano costretti a giacere nel loro lordume per giorni. Nonostante ne furono ritrovati a quintali nei magazzini di Aushwitz, ai deportati non venivano distribuiti cucchiai, così da costringerli a lambire la zuppa come cani. Uomini, donne e bambini venivano degradati a cavie, su cui sperimentare medicinali per sopprimerli. Levi ci dice poi che “accade spesso, a chi ha perso tutto, di perdere sé stesso”: non vedendoli più nemmeno come uomini, era facile per i tedeschi decidere della loro vita o morte al di fuori di ogni senso di affinità umana.


È difficile, forse impossibile, dare un giudizio basato su criteri estetici a un libro che racchiude tanta sofferenza e morte, ma questo testo si distingue da scritti analoghi per la sua immensa qualità letteraria. Essa è dovuta soprattutto a una grande lucidità della memoria e allo spessore morale dell’autore. Egli stesso ha raccontato che, tra i fattori che gli hanno permesso di salvarsi, c’è stato sicuramente il suo interesse verso l’animo umano. In quest’opera notiamo inoltre la sua abilità nel cambiare continuamente punto di vista, senza però risultare confusionario. Egli alterna una prima persona singolare autobiografica, una prima persona plurale con valore collettivo, una terza persona singolare descrittiva e una seconda persona plurale per fare appelli ai lettori. Anche i tempi verbali si avvicendano; i tempi verbali al passato a volte lasciano il posto a un presente incontrastato. Potremmo dire infatti che nei campi avviene un’”uccisione” del tempo: non si voleva ricordare il passato e l’unico futuro che importava era quello imminente.


Per quanto abbia apprezzato la straordinaria memoria di Levi, che ricorda perfettamente espressioni del gergo tedesco e bestemmie tipiche dello yiddish, mi sarebbe piaciuto che fosse stata presente una traduzione in italiano.


In conclusione, credo che questo sia un libro difficile, ma necessario. Se questo è un uomo non punta a farci comprendere quanto è avvenuto. Comprendere un comportamento umano significa, anche etimologicamente, “contenere l’autore”, mettersi nei suoi panni, quasi giustificarlo. L’odio nazista è irrazionale e incomprensibile: non possiamo e non dobbiamo capirlo. Lo scopo di questo libro è di farci ricordare quello che è successo perché mostri come Hitler sono esistiti, esistono ed esisteranno ancora, ma da soli non sono pericolosi: lo diventano quando si trovano davanti funzionari disposti ad obbedire senza pensare e giudicare. Bisogna diffidare da chi cerca di convincerci con strumenti diversi dalla ragione. È meglio una verità modesta che una rivelata da un falso profeta, sotto le vesti di un capo carismatico.



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