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La macchina del tempo - analisi e commento

“Avevo l’impressione di essere capitato in mezzo a un’umanità in declino. Quel luminoso tramonto mi faceva pensare al declino del genere umano. Per la prima volta cominciai a rendermi conto delle ambigue conseguenze dell’impegno sociale a cui ci stiamo dedicando attualmente (…): la forza deriva dalla necessità e la sicurezza rappresenta un cardine della debolezza”.

Quando un uomo racconta ai suoi amici di avere inventato una macchina del tempo e di essere giunto grazie ad essa nel 802.701 dopo Cristo, nessuno gli crede. Ma i fiori sconosciuti nelle sue tasche, lo strano congegno nel suo laboratorio e, soprattutto, la sua scioccante descrizione del futuro sembrano dimostrare il contrario.

Il Viaggiatore del Tempo (così viene chiamato dall’autore) si aspettava un futuro radioso, caratterizzato da un progresso scientifico e tecnologico, ma il mondo che si trova davanti è tutt’altro che migliore. L’umanità si è divisa in due specie differenti, gli Eloi e i Morlock, entrambe estremamente DISUMANIZZATE. I primi sono esseri elementari; privati del desiderio di conoscenza e della necessità di proteggersi, si abbandonano all’inerzia e all’apatia. “Quella gente impiegava le sue ore in allegri passatempi: si bagnava nel fiume, faceva l’amore quasi per gioco, si nutriva di frutta e dormiva”. Il Viaggiatore cerca di dare una spiegazione a questo degrado della specie umana, e arriva alla conclusione che “la versatilità intellettuale serve a compensare l’instabilità della fortuna, i pericoli, i guai”. Quindi un animale che vive in totale armonia con il proprio ambiente, ovvero in assenza di guerre, malattie o pericoli di altro tipo, rinuncia all’intelligenza perché non ne ha bisogno.

I Morlock, invece, sono primitivi e istintivi, tutte le loro azioni derivano dalla volontà di sopravvivere. Vivono nel sottosuolo e hanno paura della luce, così come gli Eloi temono il buio, e si nutrono degli abitanti del suolo. A questa scoperta il Viaggiatore viene pervaso dall’orrore, e si domanda come l’uomo sia potuto giungere a uno stato di degrado tale da mangiare i propri simili, e arriva a considerare la faccenda come una dura punizione inflitta all’egoismo umano: “L’uomo si era abituato a vivere tra gli agi e i piaceri, servendosi della fatica dei suoi simili. La parola d’ordine era stata una sola, NECESSITÀ, e se ne era servito come di una valida scusa. Poi, con l’andar del tempo, la necessità era diventata consuetudine”. Il viaggiatore attribuisce quindi la causa di questa involuzione al capitalismo:


“Basandomi sui problemi della nostra epoca, inizialmente mi parve chiaro che l’origine di quella scissione fosse da ricercare nel graduale aumento delle attuali divergenze di opinioni, puramente temporanee e sociali, tra capitalisti e lavoratori. Tali divergenze di carattere erano la chiave di tutta la faccenda”.

Secondo l’autore è questo che possiamo aspettarci da una società che tende a dividere le persone in ceti sociali: una civiltà rovesciata, in cui le classi povere diventano quelle dominanti. Wells era un sostenitore del “fabianesimo”, che sosteneva la graduale elevazione del livello sociale e culturale delle classi lavoratrici. Ne “La macchina del tempo” osserviamo come un popolo sfruttato fino all’esasperazione per il progresso dei più ricchi si ribelli fino a ribaltare la civiltà e ad estinguere completamente il genere umano.

Un libro che può fare paura a causa della sua sensatezza, ma che vi consiglio assolutamente.

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