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L'isola del dottor Moreau - analisi e commento

“Devo ammettere di aver perso fiducia nel senno del mondo di fronte al doloroso caos che regnava su quell’isola. Mi sembrava che un meccanismo smisurato e spietato creasse e plasmasse il tessuto dell’esistenza: Moreau, con la sua passione per la ricerca; Montgomery, con la sua inclinazione per l’alcol; il popolo delle bestie con i loro istinti e limitazioni mentali; e io stesso… Eravamo tutti crudelmente e inesorabilmente dilaniati e schiacciati dalla complessità dei suoi ingranaggi inarrestabili”.

Questo romanzo di Wells racconta la storia di Edward Prendick, che sopravvive ad un naufragio e viene soccorso su un’isola da un medico, Montgomery, e dal suo strano collega, il dottor Moreau. Esplorando l’isola Prendick si rende conto della presenza di esseri strani, talvolta mostruosi; spaventato chiede spiegazione a Moreau, che gli rivela di essere un vivisezionista, ovvero uno scienziato in grado di modificare la struttura ossea e cerebrale degli animali per renderli il più simili possibile agli uomini.

Nel libro sono presentati pochi personaggi: il protagonista, che rappresenta l’uomo razionale e di buon senso; Montgomery, che di per sé non ha un’indole malvagia, ma non ha una sua visione delle cose né ideali e diventa succube di Moreau; quest’ultimo è uno scienziato sconsiderato e senza morale che fa esperimenti sugli animali, condannandoli a un’esistenza di lotte, errori e sofferenza, per pura curiosità. Per fare in modo che gli uomini-bestia reprimano i loro istinti animali, Moreau li porta a credere di essere il loro dio e stabilisce delle regole che tutti devono rispettare – la “Legge”.

“Non camminare a carponi; questa è la legge. Non siamo forse uomini?
Non bere succhiando; questa è la Legge. Non siamo forse uomini?
Non mangiare carne viva né pesce; questa è la Legge. Non siamo forse uomini?
Non dare la caccia ad altri uomini; questa è la Legge. Non siamo forse uomini?”.

Questo tentativo del dottore di rendere umani degli animali risulta, però, fallimentare: gli uomini-bestia tornano lentamente al loro stato originale, sentendo risvegliarsi nell’isola deserta la loro natura animale. Come ne “Il signore delle mosche”, essa passa da essere la salvezza del protagonista a diventare la sua rovina. Quando finalmente Prendick riesce a tornare a Londra, egli è turbato nel rivedere i suoi simili; negli uomini riesce ormai a scorgere solo la bestia che si cela in loro. Non si può non pensare a “Lo strano caso del dottor Jekyll e del signor Hyde”, quando, nella sua ultima lettera, Jekyll confessa di avere una parte di sé diabolica e scellerata, nella quale si trasforma ogni volta che beve la pozione.

Leggendo questo romanzo ho provato un crescente senso di inquietudine, non soltanto a causa della metafora cruenta utilizzata dall’autore, ma anche perché, come il protagonista quando è tornato alla sua città, ho avuto la disturbante sensazione di cogliere alcune somiglianze tra gli uomini-bestia e familiari e conoscenti. Ora mi chiedi: in realtà, siamo noi gli uomini bestia?


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